Written by Aldo Giannuli.
Una delle mode culturali più in voga è quella del cd “complottismo”, cioè la tendenza a spiegare la storia mondiale –dalle massime sino nelle più minute vicende- come il prodotto di una qualche congiura ordita in centri lontanissimi ed onnipotenti. Se ne leggono di tutti i colori.
Logge che raccolgono tutti i decisori della terra, Luigi Tenco ucciso per ordine della massoneria internazionale, le scie chimiche, l’installazione di microchip nella testa di ciascuno di noi per dirigerci come automi, Elvis Presley che non sarebbe morto ma che si sarebbe nascosto da qualche parte per paura di una vendetta del Ku klux klan e via di questo passo.
Questa moda miete molti consensi a sinistra o in ambienti come quello dei 5stelle, degli ex Italia dei Valori, lettori del Fatto e del Manifesto, (cosa di cui non sono affatto responsabili né il Fatto, né il Manifesto, né il M5s quanto, piuttosto, l’attuale processo di spoliticizzazione di massa che apre spazio ad un immaginario para-magico sostitutivo delle categorie politiche di analisi), ma il paradigma “complottista” nasce, all’opposto, in ambienti di destra nel XIX secolo, avendo a bersaglio fisso massoni ed ebrei (in diversi casi accomunati in un’unica congiura).
E’ il mondo cattolico il primo ventre fecondo di questo indirizzo che vede la modernità stessa come il frutto della congiura diabolica dei massoni: dalla rivoluzione francese all’unità d’Italia, dall’industrialismo allo sviluppo del capitale finanziario, dal modernismo alla rivoluzione sessuale è tutto il prodotto di essa. Non è difficile scorgere l’origine di questo paradigma nell’eredità della Santa Inquisizione che spiegava eresie, rivolte, ecc con l’intervento del Maligno attraverso infedeli (ebrei in testa), streghe ed indemoniati. Il Malleus maleficarum è un testo di rara chiarezza a questo proposito.
A questo filone principale si aggiunse, dopo, l’antisemitismo di destra alimentato dai falsi della polizia politica zarista (“I protocolli dei savi anziani di Sion”), poi sfociato nel nazismo. La crisi del 1929 offrì una formidabile occasione per l’antisemitismo, scaricando sulle spalle della congiura finanziaria ebraica. Infine, ad alimentare e modernizzare l’ immaginario complottista, giunse la crescita dello spionaggio dalla I guerra mondiale in poi: l’ossessione della spia in agguato crebbe per tutti i decenni centrali del secolo scorso, producendo un genere letterario e cinematografico che contribuì non poco a socializzare le masse a questa “cultura del sospetto”.
Come si vede il paradigma complottista è stato preparato in cucine di destra (cattolicesimo tradizionale, antisemitismo nazista, servizi segreti e derivazioni letterarie) a “sdoganarlo” a sinistra fu lo stalinismo con le sue ossessioni e la sua caccia alle streghe totzkjiste (manco a dirlo: ebrei anche quelli, come il loro capo). Poi venne la controinformazione che, per la verità ebbe molti meriti e, nei suoi primi tempi, agì con metodo sostanzialmente corretto, prima di degenerare in uno sport dilettantesco o, peggio ancora, nella scorciatoia per fulminee carriere giornalistiche. E proprio il caso della controinformazione ci permette di introdurre una distinzione fra analisi critica delle apparenze e complottismo pregiudiziale.
La controinformazione parte da alcune considerazioni rivelatesi giuste: spesso le apparenze ingannano, soprattutto nei casi più oscuri e drammatici come stragi, assassinii politici, colpi di Stato o scandali finanziari, per cui occorre indagare con spirito critico. In fondo, è quello che fanno le polizie di tutto il mondo, quando indagano, ad esempio, su un “suicidio” dietro il quale si nasconde un omicidio. Il punto è che la polizia, soprattutto nei casi “politici”, non è una parte fuori del conflitto, ma un personaggio in commedia, che spesso falsifica, omette, depista, confonde le acque. Lo fu la polizia tedesca nell’inchiesta sull’incendio del Reihstag, lo fu quella staliniana nelle grandi purghe, lo fu anche quella italiana nella strategia della tensione o quella francese nel caso Stavinsky e l’Fbi nel caso Kennedy. Per cui, fra le apparenze da sottoporre a vaglio critico ci sono anche le dichiarazioni della polizia, mendaci molto più spesso di quanto non si creda. E questa è la seconda acquisizione giusta della controinformazione.
La terza è quella per cui, nei casi politici, la ricerca del movente politico è un pezzo decisivo dell’indagine. Ma la riflessione critica deve sempre muoversi sul filo della razionalità e non autorizza alcun funambolismo logico. Occorre avere un metodo di indagine che abbia sue regole fisse e non mutevoli da caso a caso, in base al grado di simpatia per ‘indagato.
In primo luogo: il fatto che una versione ufficiale “non quadri” logicamente, non significa che si possano dipingere gli scenari più fantasiosi ed intimamente incoerenti. Quindi, primo passo: una versione falsificata dice solo che le cose non possono essere andate nel modo in cui essa le racconta, ma non ci dice ancora come è andata davvero. E’ solo una verità negativa, non positiva.
In secondo luogo, l’apparenza va processata logicamente, non rimossa. Il fatto che essa presenti aspetti dubbi, incoerenti o anche spudoratamente falsi, non autorizza a mettere da parte tutto il resto come falso, incoerente ecc. Ogni singolo aspetto di quel che ci appare va accolto come vero sino a prova contraria. Si può accettarlo “con beneficio di inventario” ma bisogna comunque accettarlo, perché ci si priverebbe degli elementi su cui lavorare, poi, man mano che le indagini lo smentiscono o lo modificano si può procedere agli aggiustamenti necessari, non prima.
In terzo luogo: distinguere sempre fra regole e indizi, le prime sono certe, i secondi indicano solo probabilità. In particolare, i precedenti sono indizi, dicono che un certo comportamento, per quanto possa sembrare assurdo ed improbabile a prima vista, è possibile e, pertanto, non può essere escluso. La distinzione fra prove ed indizi porta a quella fra ipotesi e certezze. Ogni indagine deve formulare ipotesi su cui lavorare, perché ogni conoscenza, all’inizio, è stata solo una ipotesi. L’importante è che la spiegazione “certa” (ovviamente “certa” solo sino a prova contraria che dimostri l’errore) non nasca troppo presto. E qui c’è l’errore classico dei dilettanti: prima formulare la ricostruzione di insieme e dopo andare cercando prove ed indizi a sostegno.
La procedura corretta è il contrario: prima cercare singoli elementi di verità e, man mano, costruire ipotesi di spiegazione complessive (sempre molteplici, mai una sola) e, una volta, arrivati ad un quadro sufficientemente fondato cercare ulteriori elementi a sostegno ma, ancor più, saggiare i dati che potrebbero falsificarla, per vedere se essa resiste.
In quarto luogo: le spiegazioni tentate, non solo non debbono confliggere con quanto la scienza afferma, ma devono avere almeno l’aspetto della verosimiglianza. Ci sono cose che non sono plausibili già ictu oculi –o per contraddizioni interne o perché in palese conflitto con il quadro generale delle nostre conoscenze- per cui o c’è un forte supporto di prove (o almeno un fortissimo quadro indiziario) a sostegno, o esse possono essere scartate senza neppure entrare nel merito. Ad esempio, se qualcuno dice che c’è un vertice mondiale che tutto dirige e regola, dice qualcosa apertamente in conflitto con il nostro sapere sociale e politico generale. Se ci fosse questa “cupola mondiale” si dovrebbe registrare un quadro mondiale sostanzialmente aconflittuale o al massimo con limitatissimi conflitti periferici, mentre la nostra conoscenza ci indica un Mondo attraversato da crescenti conflitti tutt’altro che periferici ed una sostanziale assenza di ordine internazionale.
Al pari, un vertice mondiale cosiffatto dovrebbe essere in grado di evitare crisi finanziarie di vaste proporzioni o, quanto meno, essere in grado di nasconderle, ma allora come spiegare la crisi in atto da 8 anni? Nella maggior parte dei casi, il “complottista pregiudiziale” risponderà che i conflitti armati non sono altro che fenomeni intenzionalmente manovrati per ingannare i governati, manovre funzionali al proprio dominio, o per vendere armi, e le crisi finanziarie strumenti per impoverire chi è già povero e realizzare ulteriori profitti. Può anche darsi che le cose stiano così, ma spetta a chi fa queste affermazioni produrre le prove a sostegno. Ad esempio: costatare che la crisi ha lasciato come sedimento (almeno sinora) un aumento delle diseguaglianze, con ricchi ancor più ricchi e poveri sempre più poveri, non basta a dimostrare che quell’esito sia stato cercato sin dall’inizio e la crisi appositamente provocata, perché esso potrebbe essere stato solo il prodotto oggettivo, ma non prevedibile, di un processo innescato da altri fattori.
Occorre che chi afferma la tesi “complottista” fornisca prove (o almeno forti indizi) di comportamenti positivi che abbiano effettivamente innescato la crisi.
Il “complottista pregiudiziale” non avverte normalmente questa esigenza di rigore analitico: egli obbedisce prima di tutto ad uno stato d’animo, l’ansia per i pericoli da cui si sente minacciato, l’angoscia per la sua impotenza di fronte ad un mondo ostile e buio. Di fronte a tutto questo, il “complottista” cerca l’origine del male che lo opprime ed al quale, ovviamente, egli è totalmente estraneo. Il male, anzi, il Male, deve esserci, e, di solito, esso è identificato con il “potere”, un potere che sta dietro a quello visibile che lo nasconde. Ancora una volta, le apparenze sono “schermo del demonio” ed il “complottismo” rivive le stesse pulsioni che furono del mondo magico-religioso, che aveva bisogno di pensare il grande Male come inseparabile dal Sommo Bene, come l’ombra lo è dalla luce.
Ma il complottista pregiudiziale, non si rende conto di fare, in questo modo, il massimo servizio al potere (quello vero, non quello immaginario). L’implausibilità delle sue teorie, le forti incongruenze delle sue versioni, le ingenuità del suo metodo saranno altrettanti argomenti che il potere userà –attraverso i suoi manutengoli nei mass media- per ridicolizzare ogni tentativo di mettere in discussione le “verità ufficiali”. La stupidità è sempre nemica dell’intelligenza e serva del potere.
Aldo Giannuli
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