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Blog » 2015 » Aprile » 20 » corruzione che meraviglia
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corruzione che meraviglia

Quando gli italiani fanno oh che meraviglia, che meraviglia... c'è la corruzione nel paese!

Quando gli italiani fanno oh che meraviglia, che meraviglia... c'è la corruzione nel paese!
 
 
 
 
 

Così il regime si costruisce il rimedio al mostro, il contraltare complementare dell'eroe-sceriffo morale e magicamente moralizzante

 

«Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione,
Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo,
Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono».
José Saramago, Cecità.


di Mariangela Cirrincione
 
Nonostante ce l'abbia raccontata con fiumi di parole Indro Montanelli in chiave giornalistica, nonostante l'abbia analizzata con fiumi di parole Giovanni Sartori in chiave politologica, benché se ne siano occupati persino i Romani a loro tempo, benché teoricamente nulla ci sarebbe di nuovo sotto il sole, pur tuttavia, l'Italia ha scoperto la corruzione. La scopre invero ciclicamente, sviluppando sempre lo stesso stupore; la scopre, di questi tempi, e non più ogni vent'anni, sotto il nome delle inchieste eccellenti. Prima fu Tangentopoli e tutti fecero oh, come i bambini di Povia, poi Mafia Capitale, ma nel mezzo anche Calciopoli, Mose ed Expo. Ogni volta è la stessa meraviglia, ogni volta è la stessa ansia "dell'emergenza corruzione” che la trasforma in priorità quindi in agenda di governo nonché in mostro cattivissimo da abbattere immediatamente. Soprattutto a parole.
 
Con meccanismi non dissimili a quelli, mai più così in voga dai tempi del medioevo, della costruzione dell'eretico della modernità, politicamente scorretto, per definizione fascista, razzista, bigotto, omofobo, e via proseguendo la litania tipo dell'insultante democratico, si è costruito altresì il rimedio al mostro, il contraltare complementare dell'eroe-sceriffo morale e magicamente moralizzante e il gioco è a carte scoperte, cosicché sembrano essersene accorti tutti fuorché attori dello sceneggiato e figuranti sordi funzionali.

E ciechi. E nel quadro c'è il tratto grigio dell'antimafia di cartone, farcito di retorica della legalità, rinverdito da memorie del bisogno e fiaccole ad orologeria, 'antimafia' come eccesso di sentimento, magistralmente pennellata dall'ironia buttafuochesca che conia – parafrasando il conterraneo maestro Sciascia – espressioni come“professionista dell'antimafia più professionista di tutti”, moralità come mestiere, come parvenza.
 
E nel quadro si staglia prepotente la “fenomenologia del dipietrismo renziano”, ossia della costruzione della totosoluzione Cantone, bell'e circostanziata da Claudio Cerasa su Il Foglio, risparmiante alla testata nella corale mediatica la parte delle comari invitate a lodare la dote della sposa dinanzi ai parenti dello sposo.

Cantoneuomodellanno. Macchebravocantone, maccheuomocantone. La definizione realizza la cosa. Come se la giustizia fosse un uomo, una chiave, una formula, o sia stata Robin Hood, e l'alto istituto dell'anticorruzione fosse il tempio della vergine Dike. E quindi che abbiamo in mano la cura, balsamo sopraffino, unguento di beltà bontà e giustezza, più lo si ripete, più è vero. Più lo si loda, più è bravo. L'algoritmo strategico «fa sì – scrive il direttore del Il Foglio – che, nella geometria renziana, Cantone sia diventato il passepartout della moralità, l’etichetta militante del galantomismo, la figurina, con rispetto parlando, con cui il Pd renziano dà di gomito all’opinione pubblica, dicendo, con il sorriso da Mulino Bianco: “I bischeri sono gli altri, noi siamo i buoni, abbiamo quello Buono con noi, quello Buono viene persino alle Leopolda, e di conseguenza il bene sta di qua e il male sta di là”. Salvate, quindi, il soldato Cantone. Così è titolata l'apprezzabile analisi, e come non unirsi all'appello?!
 
I magistrati, invero, li ha la sinistra e li ha la destra, ma quelli di sinistra, a sinistra, in lista e negli scranni, sono medaglie al valore appese al chiodo, trofei di caccia sull'architrave della propaganda. Colombo, Cantone, Casson, Carofiglio, D’Ambrosio, Della Monica, Finocchiaro, Maritati, Ferranti, Tenaglia, Lo Moro… Consentendoci dunque particolarità, il Buon Dio salvi soprattutto i magistrati di sinistra. Li salvi dalla sinistra, e quando non possa salvarli dalla sinistra, li salvi dalla pelliccia sintetica d'eticità, appioppata loro volente o nolente da quest'atteggiamento oggi certamente più di sinistra, perito nella distribuzione di unzioni e taglie e patentante superuomini e uominidiniente. Qui qualcuno obietterà che dire “la sinistra” sia generalizzante e finanche pretestuoso, e in effetti lo è. Il parterre colorito cui ci si riferisce è almeno quello che mediaticamente passa come 'sinistra', lì sui media dove el pueblo autenticamente di sinistra comunque non va ad obiettare. Proseguiamo.
 
Giovanni Fiandaca, firma un pezzo su Il Foglio sul “Perché il magistrato dovrebbe guardarsi dalla tentazione di utilizzare il processo come strumento di censura individuale e di moralizzazione pubblica”, dinamica questa che da paventato rischio nel tempo è divenuta prassi, comportando sentenze farcite di moralismi, quindi, o perché, mosse «da una precomprensione, cioè dall’idea pregiudiziale del carattere sistemico della criminalità politico-amministrativa». Ancora due i vulnera rilevati dal Professore: da un lato «il fondamento giustificativo della colpevolezza poggia, più che su questo o quel reato specifico, sul fatto – assai riprovevole in sé - di entrare a far parte di sistemi del malaffare. Terzo: in coerenza con siffatte premesse pregiudiziali, la missione della giustizia penale finisce col consiste non soltanto nel reprimere singoli reati, bensì – prima ancora – nello svelare e combattere mali sociali sistemicamente diffusi». Ragiona uno dei massimi studiosi di diritto penale, anche uomo del PD, fresco di candidatura alle Europee, che l'han visto non vincente, ma moltissimo apprezzato.
 
E nel quadro c'è il catechismo laico firmato Gherardo Colombo che spiega perché il carcere non serva a nulla e quale sia invece l'utilità del “perdono responsabile”, ove la giustizia ‘retributiva’ ceda il passo a quella ‘riparativa’. Prosegue inoltre la serie editoriale delle brutture del mondo spiegate “a mia figlia” raccontando mancoaparlarne Mani Pulite, ma non solo. La rivista Left, “a sinistra #senzainganni”, chiede all'ex magistrato nientepocodimenoché di continuare il gioco spiegando “a mia figlia“ mancoaparlane la corruzione. Uomo di alto profilo sforna libri bellissimi e politicamente correttissimi, profondissimi e, nel fondo, trapelano le solite piccole bonarie bugie di un’impostazione un tantino fuorviante nelle premesse. Che Mani Pulite sia un periodo cosicché lo possiamo raccontare come raccontiamo il Paleolitico e lo possiamo dunque liquidare come liquidiamo il Medioevo. Che Tangentopoli o la corruzione sostianzialmente non siano di sinistra, della sinistra autentica e vera, a tutti piacendo vincere facile.
 
E nel quadro c'è la pag. 5 del Il Fatto Quotidiano del 16 aprile 2015: «“Ti ricopriamo di merda”, così il PD fa le liste in Toscana». Quale commento? Il re è nudo, ma continua imperterrito a sfilare come se nulla fosse accaduto, come nella fiaba di Andersen. Nudo, continua a farsi beffe del nemico di volta in volta identificato a colpi di antimafia, legalità e perbenismo organizzati, propaganda severa e procura facile. Lo sanno bene alle latitudini della “Buttanissima Sicilia”, dove sillogismo vuole che se critichi il governatore ti autoclassifichi nella migliore delle ipotesi omofobo e filomafioso. Per un quadro più completo si rimanda al libro di Pietrangelo Buttafuoco.
 
E nel quadro c'è la parata partigiana del 16 aprile che non racconta tutta la storia e su cui bisogna dire alcune cose. Se Berlusconi ha smesso già da un po' di cantarle ai comunisti, categoria non più attraente o comunicativamente almeno senza dubbio non più efficace per motivi più che ovvi, l'antifascismo di sinistra – in tempi di non fascismo, come direbbe Diego Fusaro – non finisce mai. E non se ne può più. “Fascista”, dunque l'aggettivazione politicante, la più astratta della storia, ormai se la becca chi sostiene ad esempio che la condizione più sana per la crescita di un bambino sia data dalla presenza di un padre e di una madre. Se è particolarmente fortunato costui si becca anche del 'nazista', ma questa è un'altra storia ancora. Tutto ciò per dire che c'è della fantasia baroccheggiante nei meccanismi di costruzione dell'eretico della modernità, e della creatività a dir poco pop nel taglia e incolla realizzato con le parti del racconto, racconto che resta il racconto dei vincitori.
 
A volerlo usare forzatamente (e comunque sempre consci della capriola storicistica singolare che andiamo a porre in essere) l'aggettivo, appare molto più aderente alle politiche di cessione della sovranità, volute da nessuno, sarebbe forse qualificante se riferito ad un governo eletto da nessuno che però attua riforme costituzionali e stringe mani ai capi di governo del mondo, per conto di chi? Alla Camera cantano “Bella ciao” rinverdendo i portentosi valori della Resistenza e bla bla bla di contorno che fanno contenta la Boldrini e quelli che della storia hanno scelto di sentire una sola campana e permettono a Grasso, altro magistrato dell'orgoglio politico desinistra, di far un'arringa bellissima e politicamente correttissima, profondissima, che non sarà mai né giusta né sbagliata. Massimo movimento con minimo spostamento, dice Buttafuoco. Intanto, essendo finito il Berlusconi contro cui la Carta Fondamentale dello Stato risultava essere la migliore opposizione dialettica, la Costituzione, “la più bella del mondo” fino a ieri, soprattutto per chi l'ha studiata con Benigni, così assai bella da essere stata bellamente calpestata all'unanimità, può essere stravolta su proposta di un governo eletto da nessuno, ma antifascista, antimafioso, antirazzista, antibigotto, e via proseguendo la litania formante – stavolta – il buon democratico, quello naturalmente zompettante al passo delle riforme.
 
L'intelaiatura del nostro quadro distorto consiste di ritornelli ricorrentissimi, così ricorrenti da risultare atoni alle orecchie abituate al jingle dell'inconsistenza. Sulla questione della giustizia come sulla questione della corruzione i toni sono confusi, e sono evidentemente quelli di chi ne vuol parlar in siffatti termini dell'ambiguità, che non spostano nulla, almeno per altri vent'anni.  Talora è giustizialista, talora garantista, talora riformista, talora resistente e talora progressista, c'è insomma una moltitudine ideologica che mortifica l'idealità e sacrifica il 'perché' della politica. E così “corruzione” è solo un'altra parola del bisogno, prospettante un altro nuovo nemico che rende utile un altro liberatore epifania di un ennesimo governo tecnico laborioso rappresentante lo stesso sistema vincente di sempre, da Maastricht sin qui. La fieradellest in questione non sposta nulla se non il Potere. Il Potere. Spodestando il popolo, smarcando il cittadino, altro mito abusato e quindi abbandonato dalle sinistre sedicenti “demo”-cratiche.
 
Quando non è usata come anestetizzante, quando non è distorsione e diversivo, quando non è sensuale arma di distrazione di massa, ogni fenomenologia sinistrosa e artificiosa sulla falsa riga di quella del Cantone liberatore prodigioso antidoto al problema della corruzione – 'corruzione' dunque nella dignità di mero leitmotiv – rimane solo curniciello napoletano stretto tra i pugni del governo più in mala fede della storia. Nulla più di una superstizione.
Category: Italia | Views: 947 | Added by: simjareug | Rating: 0.0/0
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