Il rapporto annuale dell'Istituto di statistica evidenzia che un occupato su 10 è irregolare e la disoccupazione tende a diventare una trappola: la ricerca di un nuovo impiego dura oltre 2 anni. Aumentano ancora le famiglie in cui solo la donna ha un lavoro: nel 2014 sono salite a 2,4 milioni, dalle 1,7 del 2008
La crisi ha trasformato la disoccupazione in una “trappola” da cui è difficile uscire: in Italia, stando ai dati aggiornati al 2014, chi è “alla ricerca di un’occupazione lo è in media da 24,6 mesi”, cioè da oltre due anni, e “da 34 mesi se ricerca il primo impiego”. Lo rileva l’Istat, sottolineando come i tempi diventino sempre più lunghi. A confronto con l’anno precedente, infatti, la durata media della disoccupazione è aumentata di 2,3 mesi (quasi tre mesi per chi cerca la prima occupazione). Tanto che, sottolinea sempre l’Istat nel Rapporto annuale, l’incidenza dei disoccupati di lunga durata sul totale supera il 60%. Insomma trovare un posto appare impresa di non poco conto, ecco che in tanti ci rinunciano, almeno stando ai dati sul 2014, con l’Istat che conta oltre due milioni di scoraggiati tra il totale degli inattivi (15-64 anni).
Non solo: oltre mezzo milione di precari, l’Istat li definisce “atipici”, svolge lo stesso lavoro da almeno 5 anni. L’Istat nel 2014 conta circa 524mila persone in questa condizione di “stallo”, tra contratti a tempo determinato e collaborazioni. L’occupazione, in generale, è tornata a crescere nel 2014 per i lavoratori “più anziani”, con 320mila occupati in più over 55 (in aumento dell’8,9%) mentre continua a calare per i più giovani che vedono una contrazione di 46mila posti (-4,7%) per gli under 25 e di 148mila posti per gli under 35 (-2,9%).
In Italia, per l’Istat, risulta irregolare più di un occupato su 10. Il tasso, frutto di una nuova metodologia, si aggira – dice l’Istat – intorno al 12,6% per il 2012. Guardando alla media relativa al triennio 2010-2012, l’Istituto stima 2,3 milioni di irregolari. In occasione della revisione dei conti nazionali che ha accompagnato l’introduzione del nuovo Sistema europeo dei conti, l’Istat ha infatti adottato una nuova metodologia di stima della componente non regolare dell’input di lavoro.
A fronte di un’incidenza media del 12,6%, per l’Istat “appaiono consistenti le differenze settoriali: l’irregolarità ha, infatti, un’incidenza del 21,9% sugli occupati in agricoltura, del 6,6% nell’industria in senso stretto, del 14,7% nelle costruzioni e del 13,3% nei servizi, con punte in quest’ultimo comparto che toccano il 16,3% nel settore degli alberghi e dei pubblici esercizi e un valore particolarmente elevato nel comparto del lavoro domestico (54,6%)”. Risultano confermati alcuni fenomeni definiti “stilizzati”: “Quote di irregolarità più elevate caratterizzano la componente femminile, i cittadini stranieri, gli indipendenti, i giovani e gli anziani, i meno istruiti, il Mezzogiorno e i settori notoriamente a rischio”.
Tuttavia, spiega l’Istat, “oltre la metà dei circa 2,3 milioni di irregolari stimati in media nel triennio 2010-2012 sono uomini, poco più dell’80% cittadini italiani, oltre la metà in un’età compresa fra 35 e 64 anni, uno su sei ha frequentato l’università, più della metà lavora nelle regioni del Centro-nord, due terzi sono lavoratori dipendenti, uno su tre svolge attività di tipo tecnico-professionale o impiegatizio, poco meno della metà sono coniugati”.
Quanto alla quota di famiglie in cui la donna è l’unica ad essere occupata, questa “continua ad aumentare”. Nel 2014 la percentuale ha raggiunto il 12,9%, pari a 2 milioni 428mila nuclei. Ci si fermava al 12,5% nel 2013 (2 milioni 358mila). Nel 2008 erano invece solo il 9,6% (1 milione 731mila).
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