La Ciociara
Durante la seconda guerra mondiale diecimila tra donne e bambini furono violentati dalle truppe francesi, con il consenso del comando, nel Centro-sud. Un capitolo rimosso che una denuncia ha ora riaperto
di Giusy Federici
Alberto Moravia ci scrisse un libro e Vittorio De Sica ne ricavò un film, La Ciociara, con Sofia Loren, dove si mostra lo stupro delle due protagoniste, madre e figlia.
Dopo più di cinquant’anni si torna a parlare di «marocchinate».
Con questo brutto termine vengono indicate quelle donne – ma anche bambini di entrambi i sessi, uomini, religiosi e in qualche caso animali – vittime delle violenze dei soldati marocchini del Corps expeditionnaire francais (Cef), comandati dal generale Juin. Furono migliaia.
A mezzo secolo da quegli orrori, una donna tra le prime a subire violenza, vicino ad Esperia fucinate ha deciso di sporgere denuncia nei confronti dei quattro soldati che abusarono di lei, giovanissima. «Per la prima volta – afferma il legale, l’avvocato romano Luciano Randazzo – verrà inoltrata una denuncia-querela, presso la procura militare e quella della Repubblica, per far aprire un processo penale a carico degli ufficiali francesi viventi. Quei signori, tramite lo stesso Stato francese, dovranno rispondere di omicidio plurimo aggravato da motivi futili e abietti, senza nessun riscontro nel diritto internazionale di guerra. Le dico di più: ipotizzo il reato di genocidio».
Oltre che sulle dichiarazioni della signora, l’avvocato si baserà sulle ricerche storiche e sui documenti rinvenuti da Bruno D’Epiro, da Massimo Lucioli e Davide
Sabatini, autori questi ultimi, per le edizioni Tusculum, del libro La Ciociara
e le altre.
È questo il primo tentativo di far conoscere il fenomeno degli stupri francesi in tutta la loro portata. Come afferma lo studioso belga Pierre Moreau: «Mai tali tragici avvenimenti sono stati menzionati nella letteratura storica della seconda guerra mondiale, tanto in quella di lingua francese, quanto in quella di lingua olandese ed inglese».
Invece è dimostrato che non fu solo la popolazione degli Aurunci a subire le violenze durante le famose cinquanta ore di «premio» promesse da Juin alle truppe se avessero sfondato la linea di Cassino, ma che il fenomeno parti dal luglio ’43 in Sicilia, attraversò il Lazio e la Toscana e terminò solo con il trasferimento del Cef in Provenza, nell’ottobre del ’44.
Un’altra fondamentale novità che la denuncia e gli studi apportano alla vulgata su questi fatti è che non furono solo i marocchini a macchiarsi di tali nefandezze, ma anche algerini, tunisini e senegalesi. Nonché «bianchi» francesi: ufficiali, sottufficiali e di truppa. E qualche italiano aggregato ai «liberatori» (volgari criminali o qualcuno con la divisa? Le fonti non sono chiare…).
Il professor D’Epiro, deportato a sedici anni dai tedeschi perché non volle aderire alla Repubblica Sociale Italiana – dai cui reduci viene spesso invitato a tenere conferenze – dopo una serie di vicissitudini tornò a casa. E cominciò a raccogliere le testimonianze delle vittime in libri come Dramma di un popolo e La battaglia di Esperia. È stato insignito da Pertini del titolo di Cavaliere al merito della Repubblica Italiana, ma vanta anche riconoscimenti come la Gran Croce «Deutsch dee Sektion dee Ceca». Un personaggio, quindi, non sospettabile di revisionismo strumentale a fini politici.
«La spinta me l’hanno data le donne di Esperia. Nel 1950, quando si cominciarono a dare i primi miseri indennizzi alle donne marocchinate, io scrivevo le domande per loro e ne raccoglievo le testimonianze. A quel tempo se ne parlava ancora molto, quasi tutte in zona erano state stuprate, dalle bambine alle vecchie.
Trovai poi riscontri nelle fonti tedesche». La ricerca portò a risultati sconvolgenti. Durante l’offensiva del ’44, ad esempio, il parroco di Esperia, don Alberto Terrilli, un uomo in odore di santità, cercò invano di salvare tre donne. Fu legato e sodomizzato tutta la notte. Mori poco tempo dopo per le violenze subite. E mentre i francesi ancora oggi negano tutto, diventa sempre più evidente che il fenomeno ebbe dimensioni colossali.
Sono ben 9.000 le vittime che ancora aspettano un indennizzo, secondo l’Associazione nazionale vittime di guerra. E già il 12 novembre 1946, Giovanni Moretti, primo cittadino di Esperia, durante riunione di sindaci della Ciociaria denunciò che su 2.500 abitanti erano state violentate 700 donne. Tutte si erano ammalate, molte in modo grave, o erano decedute in seguito agli stupri. E l’avvocato Randazzo sostiene che il risarcimento si può ottenere ormai solo dal governo francese. E che sul piano penale, per il principio della responsabilità applicato anche in altre situazioni (vedi caso Priebke), vadano puniti gli ufficiali francesi. Juin è morto, ma altri pari grado o subalterni presumibilmente sono ancora vivi.
A quale tipo di querelle giuridico-diplomatica la denuncia darà luogo non è difficile immaginarlo. Basti dire, come ricorda D’Epiro, che «alle celebrazioni per il cinquantesimo della battaglia di Esperia, nel ’94, si erano autoinvitati dei francesi che non furono fatti salire sul palco insieme agli inglesi e agli americani. Anzi, minacciati dai paesani, richiusero la portiera del pullman e se ne andarono. Un ufficiale mi chiese il perché di tanto astio io risposi: “Noi non possiamo dimenticare quello che avete fatto sui monti Aurunci, dove si sentono ancora le grida delle vittime”. Non presero solo donne, ma anche bambini. Un tedesco fu decapitato». Tagliare la testa era, infatti, un’usanza marocchina, come recidere le orecchie per farne collane. Si racconta persino che durante le violenze qualche ufficiale francese si nascondeva per paura di fare la stessa fine della popolazione.
Su questo punto, però, Massimo Lucioli è di parere diverso. «Nel libro noi non abbiamo sposato questa tesi fino in fondo, perché a nostro avviso gli ufficiali bianchi, spesso e volentieri, partecipavano alle sevizie». «Ma anche gli italiani che seguivano le truppe – conferma D’Epiro – non solo violentavano ma, approfittando del momento, derubavano i civili di soldi e oro». Purtroppo, però, tranne la famosa «Ciociara» che ha ispirato il film, nessuno dei protagonisti sembra avere più voglia di parlare. È difficile trovare testimoni. Sono quasi tutti morti e qualche superstite ha problemi di memoria. Ma anche chi ricorda non vuole rivangare un trauma in cinquant’anni rimasto intatto. Le efferatezze compiute dai marocchini furono motivate dai francesi con la necessità assoluta di sfondare la linea di Cassino. Juin diceva che l’unico modo per riuscirci era passare per la «penetrante Esperia». Dalla piana di Scauri, il generale osservava l’andamento giornaliero delle operazioni sui monti Aurunci e i tedeschi si accorsero troppo tardi di quell’azione di accerchiamento. Tedeschi che in zona sono rispettati e benvoluti, contrariamente che altrove in Italia.
Nel 1985, durante una giornata per la riconciliazione, gli ex combattenti sono stati invitati da tutta la cittadinanza e dalle autorità. Durante la guerra molti esperiani aiutarono i soldati germanici in difficoltà proprio per l’atteggiamento corretto che avevano sempre avuto verso la popolazione e soprattutto verso le donne. Un ucraino che aveva tentato di violentare una donna fu preso dai commilitoni della Wehrmacht e fucilato senza tanti complimenti.
Introvabile resta ancora, però, il famigerato volantino in arabo – o in francese e arabo – in cui Juin prometteva ai suoi uomini le cinquanta ore di totale licenza in caso di vittoria. L’originale non si trova, ma esiste una traduzione dell’Associazione nazionale vittime civili:
«Oltre quei monti, oltre quei nemici che stanotte ucciderete c’è una terra larga larga e ricca di donne, di vino e di case… Per 50 ore potrete avere tutto, fare tutto, distruggere e portare via, se lo avrete meritato…».
«Probabilmente – osservano Massimo Lucioli e Davide Sabatini – la storia del volantino è stata messa in giro per attribuire solo a Juin la responsabilità di fatti così vergognosi. Con la scusa del volantino di cui tutti parlano ma che nessuno ha mai visto, si finisce per negare che il fenomeno abbia interessato, com’è certo, mezza Italia. Il tutto si circoscrive a 50 ore sugli Aurunci: cosa grave é ma limitata. È anche inquietante l’esistenza di denunce prestampate. La pretura di Esperia realizzò addirittura dei moduli, presso la Tipografia Trombetta di Pontecorvo, per presentare le denunce contro le violenze commesse dai marocchini. Ce n’erano anche al comando francese.
Un’ulteriore dimostrazione che nulla fu casuale e limitato nel tempo.
Un’altra conferma della sistematicità di tali «gesta» è data, indirettamente, dalla presenza in zona del generale De Gaulle, che ha seguito gran parte della strada percorsa dai goumiers: possibile che non sapesse nulla? De Gaulle arrivò da Ausonia, dove aveva sede il Cef, a Esperia, dove si trovava il comando avanzato. Fu visto dagli osservatori tedeschi che avvertirono tempestivamente l’artiglieria posta a Sant’Oliva e spararono sul casolare: lo testimonia anche Jacques Robichon, uno storico francese che ha preso parte alla campagna d’Italia come ufficiale del Cef. In zona, poi, oltre a un reparto di carri leggeri della divisione «Francia libera», c’erano elementi della Quinta Armata americana che con i mezzi corazzati supportavano l’avanzata dei francesi. Ci sono foto che ritraggono insieme Juin, Alexander e Clark.
«A Pico – racconta Lucioli – abbiamo testimonianze che gli americani arrivarono mentre i goumiers stavano violentando in piazza donne e bambini. I soldati cercarono di intervenire, ma gli ufficiali li bloccarono dicendo che non erano lì per fare la guerra ai marocchini.
In Toscana sono successe le stesse cose. Le violenze poi non avvenivano durante combattimenti, ma a battaglia terminata. Quando le ragazze portavano fiori ai «liberatori».
A Polleca, il 17 maggio, furono seviziate molte donne e i tedeschi non c’erano già più. Così a Pico, a Castro dei Volsci e altrove».
Uno degli aspetti ancora poco noti è poi che gli stupri sono continuati a Roma, a due passi da San Pietro, ai Castelli romani, a Grottaferrata e a Frascati. In Sicilia, nel ’43, appena arrivati, i goumiers ebbero degli scontri molto accesi con la popolazione per questo motivo. Alcuni di questi soldati furono trovati uccisi con i genitali tagliati: un chiaro segnale.
Nell’alto Lazio e in Toscana, lo stesso: Poggibonsi, Colle Val d’Elsa, Murlo, la Val d’Orcia. All’isola d’Elba si verificarono altri fatti eclatanti: lì si accanirono addirittura sui carabinieri reali. «Diversi partigiani – concludono Sabatini e Lucioli – si trovarono ad avere a che fare con i goumiers in Toscana, e furono disarmati e violentati. Come alcuni elementi della Spartaco Lavagnini, una brigata garibaldina comunista molto nota e attiva. Tra loro c’era una staffetta, Lidia, e un ragazzo, ribattezzato Paolo in guerra. Testimonianze riportate dagli stessi partigiani, come Pasquale Plantera, arruolato nella Lavagnini, che ne parla in un suo racconto rimasto inedito. Eppure queste cose non sono mai state dette né scritte».
Le marocchinate della seconda guerra mondiale
Il generale francese Alphonse JUIN
Niente può eguagliare l’orrore che investì le “marocchinate”: è una brutta parola, ma allora la usavano tutti e si capiva subito di cosa si parlava. Non solo marocchini, ma anche tunisini, algerini, ecc. Gli storici furono come sempre bloccati, lasciando praticamente sguarnita di studi e ricerche quella pagina dolorosa della nostra storia. Certi eventi, accaduti intorno alla Linea Gustav, non hanno trovato il giusto spazio nei libri della storiografia ufficiale.
Voluta da Hitler nel settembre del 1943, 230 chilometri di barriera difensiva, dal Tirreno all’Adriatico partiva da Gaeta, al confine tra Lazio e Campania fino alla foce del Sangro, a sud di Pescara. La città ciociara di Cassino ne era il nodo. Saranno i soldati del generale francese Alphonse JUIN a ricevere l’ordine di sfondarla. 110 mila soldati: francesi, marocchini, algerini e tunisini sono gli uomini del C.E.F., il Corpo di Spedizione Francese, guidato dal generale JUIN, comandante deciso e ostinato. Ai suoi ordini anche i 12 mila goumiers, arruolati e addestrati sulle montagne dell’Atlante in Marocco.
Il contingente marocchino agli ordini del generale JUIN, i “goumièrs”, sfondano per primi il 13 maggio 1944, i capisaldi della linea Gustav. I tedeschi sono costretti ad arretrare. I profughi vedono arrivare i liberatori. Ma proprio in questi giorni di liberazione ha inizio un saccheggio senza precedenti: i goumiers devastano, rubano, uccidono, violentano. Donne, bambini, ma anche uomini, sono il loro “bottino di guerra”. Le marocchinate, una brutta definizione, ma da allora usata da tutti in quei luoghi e si capisce subito di cosa si parla. Sono le donne che hanno subito la violenza dei soldati marocchini, gli efferati liberatori dall’occupazione tedesca.
I goumiers inoltre andavano all’attacco salmodiando la Chahada (non vi è altro Dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo profeta), catturavano i tedeschi per rivenderli (500-600 franchi per un soldato semplice, il triplo per un ufficiale superiore) ai militari americani desiderosi di costruirsi una reputazione guerriera senza rischiare. In Marocco ovviamente sono gli eroi di Cassino.
Ma quanti furono gli stupri? Le cifre non sono mai state precise. La furia delle truppe marocchine ha sin dal primo momento assunto le caratteristiche di uno stupro di massa. Ma come è stato possibile che soldati comandati da ufficiali francesi, inquadrati nella V armata americana, abbiano potuto infierire sulla gente del luogo senza alcun controllo? In questa ricerca della verità partiamo, anche se può sembrare paradossale, da un misterioso proclama, attribuito proprio ad Alphonse JUIN:
“…oltre quei monti, oltre quei nemici che stanotte ucciderete, c’è una terra larga e ricca di donne, di vino, di case. Se voi riuscirete a passare oltre quella linea senza lasciare vivo un solo nemico, il vostro generale vi promette, vi giura, vi proclama che quelle donne, quelle case, quel vino, tutto quello che troverete sarà vostro, a vostro piacimento e volontà. Per 50 ore. E potrete avere tutto, fare tutto, prendere tutto, distruggere e portare via, se avrete vinto, se ve lo sarete meritato. Il vostro generale manterrà la promessa, se voi obbedirete per l’ultima volta fino alla vittoria…”.
|