
Il Trattato Transatlantico sul commercio e gli investimenti, noto come TTIP, è un accordo che mira a liberalizzare il commercio e gli investimenti tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea.
Il trattato sta incontrando numerose criticità e ha provocato reazioni di protesta tra gli strati della società civile e delle istituzioni politiche. Sono molti i partiti e i movimenti sociali che hanno espresso forti dubbi sul TTIP, organizzando campagne di informazione sull’argomento.
Una delle più importanti organizzazioni non governative, Greenpeace, ha lanciato la petizione chiamata “Ferma il TTIP“ che ha raccolto ad oggi più di 40 mila firme indirizzate ai parlamentari europei, con l’esplicita richiesta di bloccare i negoziati sul trattato.
Per saperne di più abbiamo intervistato Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia, che ci ha spiegato le ragioni che hanno spinto l’organizzazione nella battaglia contro l’approvazione del Trattato Transatlantico sul commercio e gli investimenti.
Ecco qui riportata l’intervista integrale:
Come è nata l’idea della campagna di Greenpeace contro il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP)?
Greenpeace ha deciso di unirsi ad un movimento globale che sta manifestando il proprio dissenso contro un accordo commerciale che tocca i diritti dei cittadini e quelli del Pianeta e che rischia di farci respirare aria meno pulita e mangiare cibi meno sicuri. Abbiamo così lanciato una petizione, ad oggi firmata da più di 40 mila persone, per chiedere ai Parlamentari Europei chiamati a decidere prossimamente sul TTIP di bloccare il negoziato.
Quali sono gli aspetti del trattato che Greenpeace reputa maggiormente pericolosi?
Innanzitutto due meccanismi che verrebbero introdotti: l’ISDS che regolerebbe le controversie tra Stato e investitori con un meccanismo privatistico che sfugge a ogni istituzione giuridica e a ogni controllo democratico; un meccanismo regolatorio RCC, che dovrebbe coordinare per via amministrativa e non politica, le normative dei due Paesi.
Con la scusa di un’armonizzazione delle regole commerciali fra le due sponde dell’Atlantico, si sta rischiando di fatto di dare una spallata a normative e regolamenti a protezione dei diritti, dell’ambiente, di beni comuni e servizi pubblici, andando ben al di là di quelle che sono delle barriere tariffarie. Si profila una vera e propria marcia indietro su OGM, uso di pesticidi, etichettatura dei prodotti, ma è a rischio anche il fronte energetico: gli standard previsti dalla normativa europea in questo settore potrebbero essere considerati di intralcio al libero mercato. Per fare un esempio, potrebbero essere abbattuti i limiti sulle tecniche di fracking o si potrebbe facilitare l’esportazione di petrolio da sabbie bituminose.
Un capitolo inquietante è poi quello della chimica: negli Stati Uniti il principio di precauzione non vale, le sostanze chimiche sono considerate sicure fino a prova contraria, esattamente l’opposto di quanto accade in Europa.
Molte paure sul TTIP vengono generate dalle problematiche relative al settore agricolo: quanto ha da perdere l’Italia in questo contesto?
La questione riguarda sicuramente il tema degli OGM e, per altri versi, la questione dell’etichettature alimentari e dei pesticidi. Di fatto le pressioni da parte dell’agroindustria sono volte a rendere speculare i processi di autorizzazione alla coltivazione, dando all’EFSA il ruolo di autorizzatore unico per l’intera UE mentre con la recente modifica della direttiva Ue ora i singoli Stati possono opporsi.
Il nostro paese ha una forte identità alimentare e produzioni di qualità, incluse le produzioni biologiche che rappresentano un settore di punta anche in termini di valore aggiunto siamo il principale produttore europeo di biologico. Il rischio di imporre le coltivazioni OGM – o di portare in causa lo Stato con significative possibilità di successo con l’ISDS – è inaccettabile sia sul piano ambientale che politico.
La coesistenza fra biologico, convenzionale e OGM è semplicemente impossibile. Anche sul versante dell’etichettatura o dell’utilizzo ad esempio di ormoni per l’allevamento di animali da carne corriamo dei rischi. Negli Stati Uniti le lobby biotech stanno investendo decine di milioni di dollari nella campagna per impedire l’etichettatura dei prodotti OGM, e sicuramente le norme europee che dal 2004 le impongono in Europa non sono gradite.
Crescita dell’1% annuo del Pil europeo controbilanciata da rischi per l’ambiente, per la salute e per i diritti dei lavoratori: si è fatto un’idea del perché questo trattato debba essere ratificato a tutti i costi?
Non è il primo tentativo del genere: già negli anni ’90 il Multilateral Agreement on Investments promosso in sede OCSE aveva obiettivi analoghi. La verità è che gli Stati nazionali sono diventati un ostacolo – con le loro diverse leggi e politiche nazionali – per le multinazionali che vogliono, com’è esplicitamente dichiarato, rimuovere le barriere non tariffarie ai commerci.
Le proteste sono concentrate per la maggior parte nel continente europeo: è un caso?
In termini di critiche qualcosa si muove anche negli USA, ma è chiaro che il TTIP risponde più alla logica statunitense che a quella europea, a partire dall’assenza del principio di precauzione. L’UE ha molte diversità e questo è visto come un ostacolo da parte delle multinazionali mentre è proprio queste diverse identità che, con tutti i limiti delle attuali istituzioni, è la vera ricchezza dell’Europa.
I malumori per la ratifica del TTIP sembrano non avere un colore politico: insieme a grandi movimenti come Greenpeace c’è la possibilità di una dura battaglia politica trasversale con reali capacità di successo?
Pensiamo di sì, proprio per questa trasversalità e per gli interessi specifici di settori economici, come parte dell’agricoltura europea. Altri settori, come quello energetico, spingono invece a favore per il TTIP per gli interessi legati allo shale gas americano o al petrolio da scisti bituminosi.
Va comunque rilevato che la Commissione Juncker sta prendendo posizioni di retroguardia in materia ambientale: questo è forse già un effetto negativo concreto dell’attuale discussione sul TTIP.
Intervista a cura di Lorenzo Zacchi – @LorenzoZacchi
- See more at: http://www.tribunaitalia.it/2015/05/11/fermiamo-il-ttip-intervista-a-giuseppe-onufrio-direttore-esecutivo-di-greenpeace-italia/#sthash.BSJi6H2D.dpuf
Il Trattato Transatlantico sul commercio e gli investimenti, noto come TTIP, è un accordo che mira a liberalizzare il commercio e gli investimenti tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea.
Il trattato sta incontrando numerose criticità e ha provocato reazioni di protesta tra gli strati della società civile e delle istituzioni politiche. Sono molti i partiti e i movimenti sociali che hanno espresso forti dubbi sul TTIP, organizzando campagne di informazione sull’argomento.
Una delle più importanti organizzazioni non governative, Greenpeace, ha lanciato la petizione chiamata “Ferma il TTIP“ che ha raccolto ad oggi più di 40 mila firme indirizzate ai parlamentari europei, con l’esplicita richiesta di bloccare i negoziati sul trattato.
Per saperne di più abbiamo intervistato Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia, che ci ha spiegato le ragioni che hanno spinto l’organizzazione nella battaglia contro l’approvazione del Trattato Transatlantico sul commercio e gli investimenti.
Ecco qui riportata l’intervista integrale:
Come è nata l’idea della campagna di Greenpeace contro il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP)?
Greenpeace ha deciso di unirsi ad un movimento globale che sta manifestando il proprio dissenso contro un accordo commerciale che tocca i diritti dei cittadini e quelli del Pianeta e che rischia di farci respirare aria meno pulita e mangiare cibi meno sicuri. Abbiamo così lanciato una petizione, ad oggi firmata da più di 40 mila persone, per chiedere ai Parlamentari Europei chiamati a decidere prossimamente sul TTIP di bloccare il negoziato.
Quali sono gli aspetti del trattato che Greenpeace reputa maggiormente pericolosi?
Innanzitutto due meccanismi che verrebbero introdotti: l’ISDS che regolerebbe le controversie tra Stato e investitori con un meccanismo privatistico che sfugge a ogni istituzione giuridica e a ogni controllo democratico; un meccanismo regolatorio RCC, che dovrebbe coordinare per via amministrativa e non politica, le normative dei due Paesi.
Con la scusa di un’armonizzazione delle regole commerciali fra le due sponde dell’Atlantico, si sta rischiando di fatto di dare una spallata a normative e regolamenti a protezione dei diritti, dell’ambiente, di beni comuni e servizi pubblici, andando ben al di là di quelle che sono delle barriere tariffarie. Si profila una vera e propria marcia indietro su OGM, uso di pesticidi, etichettatura dei prodotti, ma è a rischio anche il fronte energetico: gli standard previsti dalla normativa europea in questo settore potrebbero essere considerati di intralcio al libero mercato. Per fare un esempio, potrebbero essere abbattuti i limiti sulle tecniche di fracking o si potrebbe facilitare l’esportazione di petrolio da sabbie bituminose.
Un capitolo inquietante è poi quello della chimica: negli Stati Uniti il principio di precauzione non vale, le sostanze chimiche sono considerate sicure fino a prova contraria, esattamente l’opposto di quanto accade in Europa.
Molte paure sul TTIP vengono generate dalle problematiche relative al settore agricolo: quanto ha da perdere l’Italia in questo contesto?
La questione riguarda sicuramente il tema degli OGM e, per altri versi, la questione dell’etichettature alimentari e dei pesticidi. Di fatto le pressioni da parte dell’agroindustria sono volte a rendere speculare i processi di autorizzazione alla coltivazione, dando all’EFSA il ruolo di autorizzatore unico per l’intera UE mentre con la recente modifica della direttiva Ue ora i singoli Stati possono opporsi.
Il nostro paese ha una forte identità alimentare e produzioni di qualità, incluse le produzioni biologiche che rappresentano un settore di punta anche in termini di valore aggiunto siamo il principale produttore europeo di biologico. Il rischio di imporre le coltivazioni OGM – o di portare in causa lo Stato con significative possibilità di successo con l’ISDS – è inaccettabile sia sul piano ambientale che politico.
La coesistenza fra biologico, convenzionale e OGM è semplicemente impossibile. Anche sul versante dell’etichettatura o dell’utilizzo ad esempio di ormoni per l’allevamento di animali da carne corriamo dei rischi. Negli Stati Uniti le lobby biotech stanno investendo decine di milioni di dollari nella campagna per impedire l’etichettatura dei prodotti OGM, e sicuramente le norme europee che dal 2004 le impongono in Europa non sono gradite.
Crescita dell’1% annuo del Pil europeo controbilanciata da rischi per l’ambiente, per la salute e per i diritti dei lavoratori: si è fatto un’idea del perché questo trattato debba essere ratificato a tutti i costi?
Non è il primo tentativo del genere: già negli anni ’90 il Multilateral Agreement on Investments promosso in sede OCSE aveva obiettivi analoghi. La verità è che gli Stati nazionali sono diventati un ostacolo – con le loro diverse leggi e politiche nazionali – per le multinazionali che vogliono, com’è esplicitamente dichiarato, rimuovere le barriere non tariffarie ai commerci.
Le proteste sono concentrate per la maggior parte nel continente europeo: è un caso?
In termini di critiche qualcosa si muove anche negli USA, ma è chiaro che il TTIP risponde più alla logica statunitense che a quella europea, a partire dall’assenza del principio di precauzione. L’UE ha molte diversità e questo è visto come un ostacolo da parte delle multinazionali mentre è proprio queste diverse identità che, con tutti i limiti delle attuali istituzioni, è la vera ricchezza dell’Europa.
I malumori per la ratifica del TTIP sembrano non avere un colore politico: insieme a grandi movimenti come Greenpeace c’è la possibilità di una dura battaglia politica trasversale con reali capacità di successo?
Pensiamo di sì, proprio per questa trasversalità e per gli interessi specifici di settori economici, come parte dell’agricoltura europea. Altri settori, come quello energetico, spingono invece a favore per il TTIP per gli interessi legati allo shale gas americano o al petrolio da scisti bituminosi.
Va comunque rilevato che la Commissione Juncker sta prendendo posizioni di retroguardia in materia ambientale: questo è forse già un effetto negativo concreto dell’attuale discussione sul TTIP.
Intervista a cura di Lorenzo Zacchi – @LorenzoZacchi
- See more at: http://www.tribunaitalia.it/2015/05/11/fermiamo-il-ttip-intervista-a-giuseppe-onufrio-direttore-esecutivo-di-greenpeace-italia/#sthash.BSJi6H2D.dpuf
|