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Blog » 2015 » Aprile » 17 » Quando parlano gli esuli in patria. Sostiene Dimitri Buffa: Posted on apr 17, 2015 by Sergio Di Cori Modigliani | 0 comments
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Quando parlano gli esuli in patria. Sostiene Dimitri Buffa: Posted on apr 17, 2015 by Sergio Di Cori Modigliani | 0 comments

 

Dimitri Buffa è un giornalista professionista, attivo da alcuni decenni. Indipendente, intellettualmente libero, libertario, non ha mai goduto di alcun cappello di protezione politico e la sua posizione è sempre stata quella di cavalcare una totale autonomia come base sostanziale della professione del giornalismo. Non ha mai nascosto la sua fede pannelliana pur considerando la sua adesione ai radicali come scelta politica individuale che in nessuna forma ha intralciato la sua attività.

Oggi, sul quotidiano “L’Opinione” ha scritto un editoriale dal sapore esistenzialista che mi ha colpito per la sua autenticità.

Ai miei occhi lo qualifica come membro integrante del club degli italiani esuli in patria, quel clan di invisibili che l’attuale modello di mercato vigente in Italia emargina.

Il suo intervento, pur nell’accorata denuncia individuale, non è un atto solipsistico.

E’ la presa d’atto di una situazione reale e corrente condita dal coraggio di denunciare la realtà di una professione nella quale, coloro che fanno la fame e sono schiavizzati, oggi, sono la stragrande maggioranza. E molti, nel nome della sopravvivenza, si adeguano.

Perché per ogni Santoro, Floris, Vespa o Formigli, che tutti seguono e inseguono fingendo sempre di non seguire e non inseguire, esistono anche centinaia di liberi professionisti che, semplicemente, non lavorano perché in Italia non esiste nessuna forma di democrazia dell’informazione.

E quando non c’è libertà di lavoro nel campo dell’informazione, significa che non esisterà mai e in alcun modo nessuna forma di libertà di stampa.

Le cose stanno così.

Ecco il testo:

Perché per ogni Santoro, Floris, Vespa o Formigli, che tutti seguono e inseguono fingendo sempre di non seguire e non inseguire, esistono anche centinaia di liberi professionisti che, semplicemente, non lavorano perché in Italia non esiste nessuna forma di democrazia dell’informazione.

E quando non c’è libertà di lavoro nel campo dell’informazione, significa che non esisterà mai e in alcun modo nessuna forma di libertà di stampa.

Le cose stanno così.

Ecco il testo:

http://www.opinione.it/politica/2015/04/17/buffa_politica-17-04.aspx#.VTEMhz-Un1Y.facebook

Sostiene il giornalista Dimitri Buffa:

“Tolgo subito di mezzo il primo equivoco: come la maggior parte di chi non è riuscito nel proprio campo, soffro d‘invidia. E credo che non necessariamente ce l’avrei fatta se tanti non mi fossero passati avanti in tutti i campi dello scibile umano. A cominciare da quello giornalistico continuando per quello culturale. Il pudore e il complesso di colpa hanno fatto di me una bella statuina rinchiusa non solo nella citata “torre d’avorio”, il cui affitto resta carissimo nonostante la crisi immobiliare, ma anche nelle mie stesse insicurezze. Miste a stupide baldanze. La tendenza a sedersi sugli allori ancor prima che ci vengano recapitati…

Ciò detto, se lo sguardo di chi scrive comincia a volgersi intorno il panorama appare questo: dopo la morte dell’ultimo scrittore e semiologo eretico italiano, PPP, Pier Paolo Pasolini, un uomo che non aveva timore di esporsi a ogni pericolo, persino quello di cadere nel ridicolo, pur di esprimere le proprie convinzioni, e con un’apertura mentale e sociale che oggi ben pochi ostentano, ha dominato in Italia, per scelta precisa degli industriali del settore, la commercializzazione selvaggia della cultura e della scrittura soprattutto. Tutti possono scrivere un libro se prima vengono montati e venduti alla plebe digitale come fenomeni da baraccone da un apposita campagna pubblicitaria della stampa, degli editori, delle case librarie, della tv e persino di internet, a partire dai tanto decantati social network. Più realisti del re.

A quel punto, non importa che la persona abbia o meno molto da dire, e che soprattutto lo sappia dire, anzi scrivere, tanto si trova un “negro” che all’occasione può scrivere o parlare per lui. L’importante è che la cosa funzioni e l’individuo viene trasformato in personaggio. Quindi quasi un alieno di se stesso. Questa tragedia, dopo avere ucciso il giornalismo, sta attaccando alle radici la scrittura. Tanti libri detersivo faranno fare i soldi agli addetti ai lavori e ai piccoli editori che si sono convinti di essere una start up e non un’impresa culturale. In compenso ammazzeranno nel medio periodo, medio breve, ogni residua voglia di leggere dell’italiano medio. E’ la sindrome del libro biografico (anche auto) sulla star del calcio. Ecco quindi nascere o consolidarsi una serie di cliché umani che più vengono caratterizzati e più sono falsi. Il finto maledetto, il finto romantico, il finto filosofo, il finto semiologo… “giù per li rami” sino al finto giornalista d’inchiesta.

Tutto copiato, stereotipato, “preso da internet”. Da Wikipedia, con Google o senza. E’ così tutto a portata di mano che anche pensare non serve più a un cazzo. Infatti passa la voglia di andare al cinema perché vedi trenta trailer differenti, anche se con tratti in comune, dello stesso film e sai già le “migliori battute” a memoria quando lo vai a vedere. Anzi aspetti le scene che già ricordi. Cosa che c’era anche negli passati ma non in questa maniera ossessiva. Hanno fatto dello spettatore una persona che nutre pregiudizi sull’opera che sta vedendo o andrà a vedere. E andranno tutti prevenuti ad applaudire o a fischiare, anche se quest’ultima ipotesi è la più remota essendo stata sostituita semplicemente dal “non andranno affatto”.

Spero non si osi, e non si usi, la scorciatoia del dire che questa sarebbe una posizione passatista. Io ho iniziato a usare la tecnologia informatica nei primi anni Novanta con lo stesso entusiasmo di un adolescente sedicenne che per la prima volta ha l’occasione di scopare con una ragazza di due o tre anni più grande, e più scafata, di lui. Risultato? I signori proprietari delle imprese più importanti, con qualche lodevole eccezione, Amazon che almeno mette a disposizione tutti i libri più belli del mondo a due soldi, con la furbata però di spingerti a comprarli compulsivamente, hanno trasformato la citata “scopata” in un coito con una bambola gonfiabile. Che per quanto mi riguarda mi rifiuto di fare. A costo di starmene in un cantuccio tutta la vita.

In una torre d’avorio sempre più ristretta e angusta e sempre più cara, ma almeno più comoda della bara intellettuale dove ritengo di rischiare di venire in ogni caso confinato. Cito di nuovo il geniale Fulvio Abbate, marchese della sua stessa cultura, che dopo avere istituito “la giornata nazionale di quelli che non se li incula nessuno”, mi dice più o meno: “Vedrai quando andrà di moda quello che sento io, altri se ne approprieranno indebitamente”. E continuando così: “Io non ce l’ho tanto con coloro che detengono il potere nelle case editrici, ma con quelli che se ne stanno zitti aspettando il proprio turno di godere di un meschino privilegio”. Sottintendendo probabilmente: “e perpetrando così un sistema non giusto, non meritocratico e neppure valido e utile per l’utente del libro (o del film o del teatro ecc.). Semplicemente oggi coloro che non si espongono in questo “howl”, grido allenginsbergeriano” (Madonna che fatica sto aggettivo) di protesta contro questo stato di fatto, non lo fanno per paura di rappresaglie. E domani saranno i primi a farsi avanti per passare per anti convenzionali. Dopo “l’ok dall’alto”.

E in realtà oggi invece accettano di fare da piolo, da scala e poi da piedistallo a quelli che occupano in maniera partitocratica l’immaginario culturale. Dalle pagine dei giornali ai convegni ai premi letterari eccetera. Come nelle vecchie sezioni del vecchio Pci in cui i ruoli ai capetti venivano assegnati prima. E peraltro anche come nei movimenti tipo Lotta Continua o Potere Operaio dove i leaderini universitari e delle manifestazioni venivano eletti per censo, figli di papà, o cooptati per presunto fascino individuale. Cioè i figli di papà del partito. Questa riflessione verrà comunque ripresa quando avrò smesso di vomitare per l’emozione negativa sinora arrecatami”.

(*) Tratto da un libro futuro di Dario Dimitri Buffa, dal titolo “L’affitto della torre d’avorio (sempre più caro)”

Category: Cultura | Views: 896 | Added by: Antonella | Rating: 0.0/0
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