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Blog » 2015 » Gennaio » 22 » Naomi Klein: riflessioni sul clima
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Naomi Klein: riflessioni sul clima

kleinE’ di ottimo umore, e come non potrebbe esserlo?  Pochi giorni fa ha terminato di scrivere “This Changes Everything” (“Questo Cambia Tutto”),  che lei definisce “un libro sui cambiamenti climatici per la gente non abituata a leggere libri sui cambiamenti climatici”. Ora può godersi qualche settimana di pace prima della reazione mediatica (e delle inevitabili controversie), dopo la simultanea pubblicazione prevista per il 16 settembre prossimo da parte di quattro diversi editori in quattro diversi paesi del mondo.  Sarà una settimana prima del Vertice 2014 sul Clima delle Nazioni Unite, un evento che certamente farà scendere nelle piazze di Manhattan miriadi di manifestanti – compresa la stessa Klein, che fa parte del consiglio direttivo di 350.org, un gruppo di iniziativa locale dedicato alla creazione di un movimento globale sul clima.  “New York  andrà praticamente a fuoco quando questo libro verrà pubblicato” dice, parlando (si spera) metaforicamente.

Come tutti gli altri scritti della Klein, This Changes Everything sfida i valori in base ai quali stiamo vivendo.  I suoi libri precedenti,  No Logo (2000) e “The Shock Doctrine” (2007)— è brava a trovare dei titoli d’effetto, bisogna ammetterlo – non erano soltanto dei best-seller mondiali, ma veri e propri lampi che illuminavano a giorno, all’improvviso, la realtà dei fatti che il lettore stava vivendo.

Mentre il primo libro è diventato la bibbia dell’ anti-globalizzazione, l’altro si è rivelato un’analisi dirompente di come i “neo-liberali”  del “libero” mercato hanno approfittato dei momenti di crisi – sia nel 1973 durante il colpo di stato in Cile,  sia negli anni ’90 in Russia e nel periodo dopo la guerra in Iraq successivo alla scomparsa di Saddam Hussein – per imporre una specie di “terapia dello shock”, trasferendo pubbliche risorse nelle mani di privati facoltosi e applicando rigide misure di austerity ai comuni cittadini.

Nel suo libro anticipò il modo in cui nel 2008 la crisi finanziaria avrebbe condotto a politiche al servizio di Wall Street e che avrebbero lasciato Main Street in ambasce a sbrigarsela da sola. Non c’è da meravigliarsi se la Klein abbia ricevuto delle ottime recensioni sui suoi libri da premi Nobel quali, ad esempio, l’economista Joseph Stiglitz e da John Gray,  un professore di filosofia politica della London School of Economics che ha scritto nel Guardian: “Sono pochi i libri che ci aiutano concretamente a capire il presente. The Shock Doctrine è uno di questi”.

“Naomi ha questo dono della lungimiranza che le consente di anticipare eventi e pensieri prima che lo facciano altri;  e poi dopo pochi mesi la cosa diventa normale e diffusa” dice Katharine Viner,  redattore capo per gli USA del Guardian, sua amica da molto tempo ormai, da quando un’intervista su “No Logo” si trasformò in  una serata di accese discussioni adeguatamente alimentate da svariati  bicchieri di vino.

La disarmante preveggenza della Klein ne hanno fatto una star mondiale;  la sua oratoria è seguita con grande passione sia agli eventi culturali ateniesi sia dai ribelli zapatisti di Chiapas.  Tra i suoi seguaci troviamo attivisti di rilievo – “il lavoro di Naomi ha affinato e modernizzato quella che possiamo definire in termine ampio ‘la Sinistra’ ”, mi ha scritto Arundhati Roy via mail da Nuova Delhi – ma anche chef famosi come Noma’s René Redzepi, che l’ha recentemente invitata a Copenhagen a tenere un discorso alla Conferenza MAD sul cibo.  La presentazione video del libro “The Shock Doctrine” è stata realizzata nientemeno che dal regista Alfonso Cuarón, che si è offerto volontariamente di farla perché, mi dice lui stesso al telefono dal Messico,  “Naomi è come un grande medico – riesce a diagnosticare problemi che nessun altro riesce a vedere”.   La stilista Vivienne Westwood è co-produttore esecutivo della futura versione cinematografica di “This Changes Everything” di Klein e Lewis. (Recentemente ha inviato al piccolo Toma una tutina con la scritta “I Love Crap” (Mi piacciono le schifezze).

Nonostante tutta la sua fama,  Klein scrive ancora sui cambiamenti climatici,  un tema che la maggior parte delle persone, anche quelli di sinistra, preferirebbero evitare.  Klein confessa di aver vissuto anche lei questo desiderio di negazione. “Quando si pensa a qualcosa di così grande,” mi dice, “è facile sentirsi sopraffatti o depressi.”

Detto questo, This Changes Everything è comunque ben lontano dall’essere un libro apocalittico.  Forse perché l’ha scritto durante la prima infanzia di suo figlio, – c’e’ infatti la dedica a Toma – il libro è il più personale tra i suoi lavori e anche il più disperatamente ottimistico.  “Questo libro non parla di cose che già sappiamo” dice il co-fondatore di 350.org Bill McKibben,  il “vate” di chi scrive di cambiamenti climatici. “Parla invece di come tutti i pezzi del quadro stanno su insieme”. La Klein parte da un’analisi di come i grandi gruppi d’impresa e l’ideologia del mercato libero blocchi i tentativi di contrastare i cambiamenti climatici, fino a giungere a una critica di quelli che consideriamo dei nostri “salvatori” (grandi gruppi “verdi” che in realtà sono in combutta con le grandi compagnie petrolifere;  miliardari come Richard Branson che promettono più di quello che poi realmente fanno), per poi concludere con esempi di persone o gruppi che invece in questo momento stanno facendo la cosa giusta.

In sostanza,  la Klein afferma che la crisi ambientale può essere un catalizzatore di grandi trasformazioni sociali positive. Ma per arrivare a queste, è necessario mettere in discussione l’attuale capitalismo che si nutre di combustibili fossili,  che esige una crescita illimitata e che continua a concentrare il potere nelle mani dell’1% della popolazione mondiale.  “Affrontare la crisi dell’ambiente” dice la Klein semplicemente “richiederà un sistema economico completamente diverso da quello attuale”.

Poiché queste parole pongono la Klein completamente a “sinistra”, secondo gli standard americani (se non mondiali), la si potrebbe considerare una specie di “radical-onesta”,   un tipo con una certa aria di sufficienza e lontana dalla vita e da quello che piace alla gente comune.  Eppure, di persona, lei è tutt’altra cosa: è una persona divertente, con i piedi per terra e di un’eleganza discreta.  Nonostante possa apparire come il più acerrimo critico del consumismo mondiale,  comprende bene le gioie dello shopping. In un’apparizione a Londra, qualcuno le ha chiesto di nominare una cosa che le piaceva del capitalismo. Lei ha subito risposto: “Le scarpe”.

La mattina dopo la cena, vado a casa della Klein e Lewis, un’abitazione in mattoni nella zona popolare di High Park, negozi tutt’altro che alla moda, mamme che spingono passeggini…  la Klein, vestita con una camicia di cotone color neutro e pantaloni neri di taglio classico, mi accoglie dal portico di entrata, dove vedo allineate scarpe da ginnastica delle tre taglie Papà/Mamma/Bambino).  Entro, passo davanti a scaffali colmi di libri per bambini, supero la cucina, dove è in bella mostra lo spremiagrumi Breville che la Klein utilizza con divertita devozione.  “Quando sento scendere gli zuccheri nel sangue” dice con un sorriso malizioso che mi ricorda l’attrice Catherine Keener, “Bevo un bicchiere di succo di cavolo.  E’ così disgustoso che dopo di quello uno non vuole mangiare più niente!”.

Finiamo nel modesto giardino sul retro, dove suo marito, maglietta e pantaloncini casual, è appena tornato da una gita con il piccolo Toma (con i capelli pieni di sabbia).  “Camion dei Pompieri!” grida Toma, il suo modo di dirmi “Ciao”.
“Poteva andare peggio” mi dice la madre. “A volte saluta i nostri amici con ‘Camion della Spazzatura”.  Lei e Lewis trovano la cosa deliziosamente ironica:  mentre loro due combattono contro la dipendenza della società dai combustibili fossili, il loro figlio sembra simpaticamente ossessionato dall’argomento “camion”, una sorta di conflitto “natura/cultura”.    “Il mio unico trionfo”, scherza, “è che quando Toma vede un treno pieno di carbone, lo chiama il  ‘treno dell’inquinamento’ “. Ma aggiunge subito: “…non cercherei mai di impedirgli di essere interessato ai camion.  Credo sia pericoloso inviare ad un bambino il messaggio che ciò di cui è appassionato è sbagliato”.   Parla per esperienza personale.

Nata a Montreal nel 1970, la Klein era figlia di genitori della sinistra americana che si trasferirono in Canada a causa della Guerra in Vietnam;  qui continuarono il loro impegno politico progressista:  sua madre, Bonnie Sherr Klein, fece parte del primo studio cinematografico femminista canadese, mentre suo padre,  un medico, aprì dei centri medici pubblici innovativi.

“Io ero la ribelle della famiglia” dice “ e una ragazza degli anni ‘80.  Questo vuol dire che mi piaceva girare per i centri commerciali”.  I suoi genitori non approvavano la cosa e glielo dissero chiaramente. “Mi era chiaro che ai miei genitori non piaceva quello che piaceva a me e ai miei amici. Mi sentivo molto giudicata da loro”.  Ricordando la sua esperienza, ora nel suo lavoro politico  cerca sempre di evitare di apparire come una persona che giudica.  Un motivo per cui Klein è così popolare tra i giovani, dice Viner, è che non comunica con loro con un atteggiamento di persona superiore.

La Klein scriveva di politica e cultura pop quando un giorno incontrò Avram “Avi” Lewis, rampollo di una nota famiglia di sinistra e presentatore di MuchMusic, l’equivalente canadese di MTV. “Ho avuto una cotta per Avi per un paio d’anni”, dice Klein. “Io mi consideravo noiosa e invece lui era il classico ragazzo fico appassionato di rock…”.  Sentendo questo, Lewis ridacchia. “La storia riporterà che è stata Naomi a combinare il nostro primo incontro.  Deve aver capito subito che era troppo stupido per capire da solo che eravamo fatti l’uno per l’altra.”

Per via dei loro background e della loro popolarità, a volte Klein e Lewis sono descritti come una “la Coppia Reale” della sinistra, un’immagine che entrambi trovano davvero esilarante. Sarebbe più corretto definirlo un matrimonio tra due menti autentiche.  “Sono una coppia bella e gioiosa” dice Dennys. “Quando sei con loro si sta benissimo”.   Negli ultimi dieci anni, i viaggi di ricerca di Klein in Indonesia, Polonia, Gaza, Sri Lanka, New Orleans dopo Katrina, ed altri luoghi, e le sue frequenti apparizioni pubbliche, li hanno costretti a vivere in luoghi diversi, alcuni non molto piacevoli. Klein, ad esempio, nel 2004 era a Baghdad e scriveva per Harper, quando l’occupazione dell’ Iraq degenerò in terribili spargimenti di sangue.  Ci racconta che quello è stato il posto più spaventoso in cui fosse mai stata.

Fu durante questi anni che Klein subì una profonda trasformazione personale riguardo alla maternità.  Anche se lei sapeva da sempre che Lewis avrebbe voluto dei figli e che sarebbe stato un ottimo padre, la infastidiva quando la gente le chiedeva se avesse intenzione di mettere su famiglia. Era come se le dicessero di interrompere quello che stava facendo. “Prima di avere Toma” dice sorridendo “ ero una di quelle persone che non aveva alcun interesse nei bambini degli altri. Ero il tipo da: “Per carità, non mi mollate quel bambino!”  Ma quando aveva 38 anni e stava per promuovere “The Shock Doctrine”,  un giornalista le chiese se avesse intenzione di avere figli, e con sua grande sorpresa si sentì rispondere: “Sì, se non è troppo tardi.”

E così iniziò l’avventura di Toma.   Lei e Lewis presto si resero conto che desiderare un bambino e riuscire ad averne uno non era la stessa cosa. In This Changes Everything,  Klein parla apertamente delle loro difficoltà – più di un aborto spontaneo, una pericolosa gravidanza extrauterina e l’esperienza con i medici della “fabbrica della fertilità”,  che secondo Klein badano più allo status dei pazienti che alla loro salute.

“Non ero diventata come una di quelle donne che pensa: “Farò qualsiasi cosa” dice.  “E poichè stavo lavorando al libro, iniziai a scorgere un collegamento tra i miei limiti e quelli della natura.”

Suo marito aveva già iniziato a considerare l’ipotesi dell’adozione quando Klein iniziò ad avvertire delle nausee durante Occupy Wall Street.  Pochi mesi dopo nacque Toma, nel giugno del 2012; tutti quelli che le erano intorno concordano nel dire che la nascita di Toma ha fatto una grande differenza nella sua vita.  In pratica,  ora non può più schizzare  via da un posto all’altro facendo ricerche per un prossimo libro o tenendo discorsi qui e lì. L’aver avuto Toma l’ha portata a riflettere più a lungo e più in profondità sui temi dei cambiamenti climatici.  Mentre passeggiamo insieme a Toma attraverso una parte della vecchia foresta di High Park, dice: “ Quando immagino come saranno le cose nel 2050, mi ritrovo a pensare subito quanti anni avrà lui…”  Si guarda intorno. “Mi domando quanta di questa natura che ora lui vede ci sarà ancora quando lui avrà la mia età.”

L’attaccamento di Klein a Toma ha reso tutto ancora più inquietante quando recentemente ha avuto delle notizie mediche piuttosto allarmanti sulla propria salute (ha una lunga cicatrice sul collo). Le è stato diagnosticato un cancro alla tiroide (“la migliore forma di cancro che si possa avere” dice con finta ironia) e dovrà affrontarne le implicazioni e conseguenze proprio quando il suo libro verrà pubblicato.  Tuttavia,  lungi dal voler essere compatita, insiste che non vorrà parlare pubblicamente del suo cancro per timore che i media spostino l’attenzione sulla sua malattia invece di concentrarsi piuttosto sui temi di This Changes Everything.

“Naomi è incredibilmente forte” dice Maclear, sua amica da 26 anni. “Non è una che si spezza. Può avere delle crisi, sfogarsi e piangere, ma è solo un fatto momentaneo. Poi si rialza e va avanti”.
Un pomeriggio, Klein ed io visitiamo la sala di montaggio dove Lewis ha tagliato il loro film “This Changes Everything”, un  documentario rivolto a quelle persone che non leggeranno il suo libro.  Sia il libro che il film, mantengono un delicato equilibrio tra l’alimentare un sano ed energizzante timore di un imminente disastro (“Ho visto il futuro,” Klein dice, “e mi sembra New Orleans dopo l’uragano Katrina”) e l’offrire una speranza. Dopo aver visto la sinistra perdere battaglie su battaglie per oltre 30 anni,  è delusa per il poco che è stato ottenuto con Occupy Wall Street; e non si fa illusioni sul fatto che alla fine sicuramente prevarrà lo scenario ottimistico.

Di fronte ai cambiamenti climatici, la Klein sostiene, non basta introdurre una nuova tassa sul carbonio senza intaccare le emissioni globali e nella speranza che gli scienziati trovino prima o poi qualche formula magica.  Occorre invece che l’umanità si sganci dai  combustibili fossili (la Klein si oppone categoricamente all’apertura dell’oleodotto Keystone XL), che i governi spendano migliaia di miliardi nelle energie rinnovabili, che le imprese la smettano di perseguire la crescita economica illimitata e che i consumatori imparino la moderazione.  Ognuno di noi deve smettere di comprare così tanto, che equivale a smettere di considerarci per quello che compriamo.

Anche se queste idee non suonano più tanto scandalose, rappresentano un compito molto arduo. Per i non addetti ai lavori, cambiamento significa sfidare attivamente la ExxonMobil e altre compagnie di combustibili fossili “il settore economico più ricco in assoluto nella storia del denaro” come dice McKibben.  La Klein non vede alcuno dei nostri attuali leader politici in grado di fare qualcosa di così audace.  Dunque, le chiedo, qual è la soluzione?   La nostra unica speranza, Klein dice, è che la gente comune, realizzando come sta andando oggi il mondo,  con un clima sempre più strano (un tornado a New York!) e con un divario sempre più grande tra le elite e la massa, decida di fare qualcosa riguardo alla propria vita.  Dobbiamo accettare un tempo di reali sacrifici condivisi, mi dice.  “Questo è uno di quei momenti in cui è necessario che cadano le barriere tra la gente comune e gli attivisti. Il capitalismo è riuscito a convincerci che risparmiare non serve a niente, che possiamo onestamente guardarci negli occhi e dire “Non ce la faremo mai”. Il lavoro di ogni movimento per la giustizia sociale deve essere quello di promuovere una nuova immagine di società e dire “Possiamo fare di più”.   Sorseggia un drink e poi: “So che cambiare le cose è possibile. L’ho visto fare. Ho visto dei momenti in cui la società è riuscita a fermarsi e ad agire fuori copione”.

Usciamo dal caffè dove ci siamo fermati e cerco un taxi per andare all’aeroporto,  dove l’aereo che mi porterà a casa brucerà in volo un’abbondante quantità di combustibili fossili.  Si avvicina un taxi e mentre mi accingo a salire lei mi abbraccia e mi dice pacatamente: “Sono stufa di perdere. Questa volta dobbiamo vincere”. Non so se sarà possibile, ma vorrei tanto crederle.

Le letture di Naomi Klein

Una delle cose che più mi ha colpito durante le mie ricerche sulla crisi ambientale è che in tutto il mondo sono sempre le donne in prima linea nella lotta per proteggere la terra, l’acqua e l’aria.  E il più delle volte lo fanno per il bene delle generazioni future.   E’ stato proprio l’amore di queste donne per la natura e il loro sdegno per l’ingiustizia che mi ha ispirato  e convinto a scrivere di cambiamenti climatici.
1) Silent Spring  di Rachel Carson (“Primavera silenziosa” nella versione italiana)
2) Living Downstream: An Ecologist’s Personal Investigation of Cancer and the Environment  di Sandra Steingraber
3) Soil Not Oil: Environmental Justice in an Age of Climate Crisis di Vandana Shiva
4) The Year of the Flood di Margaret Atwood
5) Prodigal Summer di Barbara Kingsolver
6) Walking with the Comrades di Arundhati Roy
7) All Our Relations: Native Struggles for Land and Life di Winona LaDuke
8) Field Notes from a Catastrophe: Man, Nature, and Climate Change di Elizabeth Kolbert
9) The Death of Nature: Women, Ecology and the Scientific Revolution di Carolyn Merchant
10) Replenishing the Earth: Spiritual Values for Healing Ourselves and the World  di Wangari Maathai

John Powers

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